Non amo molto il cyberpunk puro, non amo molto le storie che mescolano il virtuale col reale rendendoli indistinguibili tra loro, Bay City fortunatamente è un mezzosangue. Metà cyberpunk, metà noir hard boiled, prendendo il meglio dei due generi. Cyberpunk l’ambientazione, il mondo in cui si muovono i personaggi, noir le vicende narrate.
La cosa che colpisce è la separazione netta che viene fatta tra corpo e coscienza (o anima, se preferite).
Il libro non è andato giù “liscio”, lo stile hard boiled usato dall’autore inonda il racconto di mille particolari che implicano un attenzione da parte del lettore non indifferente o si perderanno le miriadi di indizi disseminati in una singola pagina; il protagonista ricorda eventi della sua vita passata, risalenti a un secolo prima, vive la sua missione e riflette sulle relazioni che lo legano agli altri personaggi e tutto è funzionale alla risoluzione del caso.
Arrivati nel vivo dell’azione la storia scorre via con i fili narrativi ben collegati, con le numerose tessere del puzzle che vanno a sistemarsi al loro posto, fornendomi finalmente la risposta alla domanda fattami dall’autore una ventina di giorni fa a Fiuggi (che spiega “Enjoy, I hope” della dedica). Mi è piaciuto, non correrò subito a procurarmi gli altri (anche perché ho una tabella di marcia che prevede altri titoli prima) ma potrei prenderli da qui a un paio di anni.
Adesso un paio di considerazioni personali scaturite dalla lettura della storia.
L’ambientazione cyberpunk di circa 300 anni nel futuro vede un’umanità che ha sconfitto non la morte in se ma il suo concetto, a seconda della disponibilità economica di ognuno ci si può permettere una nuova custodia: dalle economiche biosintetiche a veri corpi venduti o addirittura cloni di se stessi, differenze che fanno anche ceto sociale con i MAT (Matusalemme) in cima alla piramide sociale, e quelli che non possono permettersi che il proprio corpo, alla base. Il danneggiamento di una custodia è di conseguenza un reato paragonabile al nostro omicidio e proprio attorno a un caso di suicidio/omicidio non riuscito si svilupperà tutta la vicenda che bene o male mostra un discreto campionario di vite che passano di corpo in corpo portandosi dietro le proprie priorità e investendo chi, magari, a quei corpi ci era legato. Proprio qui ho trovato il fulcro del romanzo: i corpi si indossano ma l’Io di ognuno li trascende, sono “custodie”, avatar del mondo reale che non hanno poi tante differenze con quelli virtuali, anzi, quelli nel virtuale sono molto più rappresentativi della natura della coscienza che rappresentano. Eppure quei corpi, almeno quelli interamente biologici, hanno una una storia, legata a chi li ha abitati, ma per chi quella storia ha condiviso, legata a quella particolare fisionomia. Una persona è definita per forza di cose anche dall’immagine che dà di sè, dalle sensazioni date dal contatto con la sua pelle, dalle caratteristiche del suo peculiare timbro vocale…
Che bello leggere certe scene mentre una persona ti manca da morire, una persona di cui ti basterebbe leggere anche una email. Nel libro i personaggi tornavano se stessi nel virtuale io in quei giorni avevo attivato un secondo account (il primo lo cancellai subito) in Second Life, la tentazione di andare a bighellonare li dentro era decisamente troppo forte, fortuna che una tale dose di virtuale non fa per me, non mi attira razionalmente, passata la tempesta ho avuto ragione della cosa e adesso quell’account è uno dei tanti da sfruttare quando si vuole fare un giretto fuori porta. Il virtuale almeno finché non sarà così reale come in Bay City (il cui titolo originale: Altered Carbon si riferisce proprio all’uso delle “custodie”) non mi attira, preferisco restare da questa parte dello schermo, non amo chattare con chiunque bussi su IRC, i messenger e skype sono solo per gli amici, considero i vari gingilli digitali solo dei terminali il cyberspazio è bello solo se lo leggi altrimenti è sterile buio, il cielo non ha i colori di un canale morto, semplicemente non ce n’è, sono solo una sequenza di 0 e di 1… Follow the White Rabbit and take the red pill. 🙂